
Qualche tempo fa ci fu nel mio paese un re, un re grande e grosso, con i baffi e col colbacco, col petto in fuori e una bella divisa grigia, non tanto alto, ma di gradevole aspetto che tutti, come per augurio, chiamavano Vittorio. Ora Re Vittorio abitava in cima a un colle, dove s’era fatto un bel castello, con merli e torri e soldati di guardia, insomma proprio il castello che si conviene a un re. Dal colle fino al resto del paese aveva fatto costruire un lungo muro fortificato sul quale passeggiavano i soldati vegliando attentamente su tutto ciò che succedeva da una parte e dall’altra del muro. Questo aveva reso Re Vittorio, all’opinione di alcuni, un re guerriero, o addirittura un re minaccioso, pronto a dividere i vicini in amici e nemici. In verità, ahimè, Re Vittorio era un gran fifone, e passava le sue giornate immaginando tutti i pericoli che sarebbero potuti incorrere alla sua persona dentro e fuori le mura. Da una parte potevano arrivare legioni di stranieri in invasione, ma anche dall’altra poteva crearsi un drappello di rivoltosi pronti a rovesciare il trono. Insomma, non aveva pace il povero Re e passava le ore del giorno a spiare tra le case dei suoi sudditi e quelle della notte a spiare l’orizzonte dalla più alta delle torri. Povero Re, mangiava poco e male e dormiva pure peggio per il timore che potesse sfuggirgli qualcosa. E per timore d’essere tradito non pensava neppure di farsi un amico o di sposarsi per avere qualcuno con cui dividere quel durissimo lavoro!
In una notte d’inverno accadde così un bel patatrac! Una notte il Re vide una piccola luce avvicinarsi e subito fece suonare all’armi! In allerta soldati e civili, un nemico ci punta! I sudditi che all’inizio erano scettici iniziarono a domandare alle guardie di questo nemico, e queste ripetendo parole di re, dipinsero una figura raccapricciante e scura. Nero è di certo, come la notte e lo spavento, potente come il temporale, furioso come il terremoto, grande come le montagne. Non è figlio d’uomo perché non ha cuore, e può compiere ogni crimine senza timore o rimorso. Può mangiare uomini e bestie, senza far distinzione, dar fondo a dispense e provviste, depredare le donne, svaligiare le case.
A sentir queste parole i popolani rimasero oltremodo impressionati, e nacque nel cuore di ciascuno il desiderio di difendersi, così a giorno fatto ognuno fece in modo di procurarsi un’arma. Chi levigò grossi bastoni, chi affilò i coltelli o le spade, e chi addirittura si procacciò pistole e fucili.
Arrivò la seconda notte e il Re sempre stava sulla torre più alta, e di nuovo vide la luce muoversi tra i campi, stavolta un poco più vicina. All’armi, all’armi! Uomini e soldati! Stavolta fu Re Vittorio in persona a parlare ai suoi sudditi che di colpo s’erano fatti coesi e obbedienti come un solo uomo. Disse loro che il nemico per certo era fatto d’ombra e possedeva poteri spaventosi, che se non l’avessero fermato avrebbe violato le loro case, portato via il lavoro, ingiuriato i vecchi e sicuramente avrebbe sporcato tutte le loro belle strade e i monumenti. Così quel grande corpo popolano con tante braccia e molte teste si mise a giorno fatto a rafforzar le porte e a mettere le grate alle finestre. E alcuni, in previdenza e per premura, s’affaccendarono a mettere qualche orinatoio per le strade del paese, così che comunque non ci fosse scusa al malcostume.
Arrivò anche la terza notte, nessuno dormiva dietro le case sprangate, men che meno il Re che stava sulla torre ma con un bel pugno di soldati pronti per l’assalto. Ed ecco anche stavolta accendersi la luce e muoversi ondeggiante in mezzo ai campi, sempre più vicina. Di nuovo il Re scese per le strade, e con un tenebroso squillo di tromba e un potente microfono avvisò la popolazione che il nemico ormai era quasi alle porte. Che non cedessero, e facessero attenzione a ogni cosa, soprattutto all’aria che si respirava, perché il nemico, tra tutte le armi, ha quelle più perniciose e mortali: le malattie! Con un solo sguardo da lontano può portare coliti ed influenze, con uno starnuto può attaccare tumori ed epatiti, e il suo contatto… beh, il suo contatto anche rapido e fugace è quanto meno produttore di cancrena.
Terrorizzati da queste descrizioni, i popolani diedero ancora qualche mandata alla porta, e in via preventiva che non si sa mai qualcuno pensò bene di far profilassi con antibiotici e antinfiammatori.
Poco dopo il sorgere del sole si vide una minuscola ombra sgattaiolare da una fessura tra le pietre delle mura. Andava svelta, ma sembrava non aver paura, che camminava dritta al centro della strada. Rumoreggiarono però presto i soldati, rullando i tamburi e marciando in formazione compatta, con re Vittorio alle calcagna che star davanti era troppo fidarsi. Puntavano verso la piazza grande, dove l’ombra un po’ troppo tranquilla sembrava dirigersi. E intanto tutti stavano in casa, chi addirittura ben nascosto sotto il letto che tutto quel baccano faceva un gran spavento. Tutti tranne una, la figlia del droghiere, che curiosa come una gatta stava dietro le persiane in attesa che scoppiasse con clamore la battaglia. Così fu proprio lei la prima a guardare ben in faccia il nemico, e ad urlare: è un bambino!!!
Quando il resto del popolino s’affacciò sulla piazza ecco quel che vide: un bambino scuro di pelle, vestito di poco se non proprio di niente, col moccolo al naso e una torcia ancora accesa in mano. S’era perso o forse era scappato, e ora tutti lo guardavano con aria di sgomento. Che dire? Come può essere andata poi è facile a capirsi, qualcuno rimase diffidente e ben armato, ma i più, capito l’inganno, diedero addosso a Re Vittorio e al suo intero plotone, e pare che ancora adesso, in qualche parte del vasto mondo, se la stia filando per mettersi in salvo.